Il grande matematico e fisico francese Pascal sosteneva che, per quanto possa essere grande la probabilità che Dio non esista, ancor più grande sarebbe la perdita se si scommettesse che non esiste e si sbagliasse. In altre parole, è meglio credere, perchè se si crede e risulta che Dio esiste, si guadagna la beatitudine eterna, mentre se Dio non esiste non si perde nulla.
All’apparenza, dunque, la decisione sembra ovvia: conviene credere.
C’è però qualcosa che stona. Non penso si possa decidere di credere per opportunità politica, o per lo meno, non si può ridurre la fede ad un atto della volontà. Infatti, se un lato posso decidere di andare in chiesa e recitare il Padre Nostro o partecipare all’eucarestia, d’altro canto nulla di tutto ciò può indurmi a credere se non credo.
In altre parole, la scommessa di Pascal può essere un argomento valido solo per chi “finge” di credere in Dio (e si spera che Dio non sia onniscente altrimenti capirebbe l’inganno), e fonda pertanto la sua scommessa su questa finzione. (Chi crede davvero non ha infatti bisogno di scommettere niente).
Ma poi, perchè si è soliti pensare che la cosa migliore da fare per compiacere Dio sia credere in lui?? Cosa c’è di speciale nel credere??
Non è altrettanto probabile che Dio ricompensi la bontà, la generosità, l’umiltà o la sincerità??
Voi scommettereste che Dio preferisca una fede disonestamente simulata ad un sincero scetticismo??
Ma c’è dell’altro. Supponiamo che il dio che ci troviamo di fronte dopo la morte sia Zeus: non avrebbe fatto meglio Pascal a non scommettere su nessun dio anzichè sul dio sbagliato?? Infatti è palese che il gran numero di dei presenti in letteratura sia un vizio di fondo alla scommessa di Pascal.
A voi la riflessione…